APPROFONDIMENTI TEMATICI / GROTTE E IPOGEI COME LUOGHI INIZIATICI E SIMBOLICI / MICROCOSMO, MACROCOSMO E MISTICA DELLA LUCE NEL VENTRE DELLA TERRA
Microcosmo, macrocosmo e mistica della Luce nel ventre della terra
Gli antichi popoli consideravano le grotte sacre mondi in miniatura: veri e propri ologrammi di quella che era ritenuta la struttura visibile e occulta del cosmo e dell'essere umano. Entrare significava varcare un’importante soglia simbolica tra il sacro e il profano e richiedeva una degna preparazione, anche attraverso abluzioni o immersioni nelle vasche o cisterne litiche che quasi ovunque ne precedevano l'ingresso, solitamente a sinistra della porta, sul lato nord, destinato alla “morte dell'uomo vecchio” e alla nascita del “nuovo”.
Gli ambienti erano di regola tripartiti, così come tre erano considerati i gradini di elevazione spirituale e di avvicinamento al divino corrispondenti alle parti fondamentali del corpo umano (addome, cuore e testa; istinto, emozione e intelletto) e dell'universo (inferi, terra e cielo) e alle tre tipologie umane fondamentali indicate dalla sapienza aristotelica (uomo fisico, psichico e “pneumatico” o spirituale). Negli ipogei etruschi questi tre ambienti erano il vestibolo, il dromos e la camera sepolcrale. Nelle chiese-cripte cristiane il nartece (destinato ai catecùmeni) alcune volte esterno e altre volte interno alla grotta (spesso adibito anche ad area sepolcrale), il naos o aula ecclesiale (a cui accedevano solo i fedeli battezzati) e il bema o presbiterio, precluso a tutti tranne che ai sacerdoti e nettamente separato dall'aula tramite un’iconostasi litica o lignea, per non consentire a chiunque di scorgere i “sacri misteri”. (Fig. 1 )
Il bema, a sua volta, era solitamente tripartito: al centro si celebrava la sacra liturgia, a destra si custodivano le sacre specie (pane e vino, in un ambiente detto Prothesis) e a sinistra i paramenti liturgici (Diakonicon). Solo l'altare centrale era visibile in parte ai fedeli. Gli altri due, di solito, del tutto celati dall'iconostasi. Nulla veniva lascito al caso nell'articolazione degli spazi e nel relativo apparato pittorico e scultoreo. Tutto rimandava a una realtà trascendente esprimibile solo attraverso i simboli. Le volte erano a volte dipinte con stelle a cinque, sei o otto punte, globuli o motivi floreali, che evocavano il paradiso, oppure scolpite in modo diversificato a seconda della campata di cui erano il culmine: spioventi, cassettoni o lacunari nel naos, scale a sette pioli nella campata di ingresso o in quella che precedeva il bema, croci cosmiche patenti entro triplici cerchi concentrici di diversa altezza nelle finte cupole absidali. Icone di santi vescovi, sante martiri, guerrieri ed eremiti sfilavano lungo il naos. L'Arcangelo Michele vegliava l'ingresso del bema. La Deesis o il Cristo Pantocratore tra i simboli degli Evangelisti troneggiavano nel catino absidale: vera e propria testa dell'edificio sacro e ideale porta verso il cielo. (Fig. 2)

Anche il modo e il tempo in cui filtrava la luce non erano lasciati al caso. Il sole, infatti, era considerato simbolo del Logos creatore, capace di fecondare con la sua potenza il grembo della terra-madre-Vergine Maria, di cui l'ambiente ipogeo nel suo complesso era il simbolo. L'oscurità della grotta, inoltre, esaltava ancor di più le rare lame di luce che la penetravano in precisi momenti del giorno e dell'anno. “Occorre il buio” - scriveva san Bernardo di Chiaravalle - “per celebrare la liturgia della Luce”. Alcune grotte erano perfettamente orientate, in modo da “ricevere” il sole in fondo all'abside solo nei giorni degli equinozi di primavera e di autunno. Altre guardavano a nord-est o a sud-est, in modo da ricevere la luce dei solstizi d'estate o d’inverno. Altre ancora avevano apposite finestre, oculi o fori gnomici scavati nella roccia per essere illuminate in un dato punto in un preciso momento dell'anno, oppure più fori posizionati in vari punti, tanto da diventare delle vere e proprie meridiane architettoniche. (Fig. 3)

Anche gli ipogei etruschi erano costruiti tenendo conto della luce, spesso orientati, come la stupefacente Tomba Ildebranda, in modo che la lama del sole potesse “baciare” il fondo tufaceo della camera sepolcrale soltanto al solstizio d'inverno. Il giorno più buio dell'anno diventava così, ben prima che il cristianesimo introducesse il Natale, il momento di celebrazione della Luce.